martedì 28 febbraio 2012

- Col Bacco recensisce.... "Carlo Levi, un torinese del Sud" con Ulderico Pesce e Maria Letizia Gorgia


Titolo: Carlo Levi, un torinese del Sud.
Compagnia: Centro Mediterraneo delle Arti
Di: Ulderico Pesce
Con: Ulderico Pesce e Maria Letizia Gorgia
Genere: Teatro popolare
Durata: Un'ora senza intervallo






Carlo Levi che “rapisce il paesaggio” affacciandosi alla finestra è un po' come Ulderico Pesce che ritaglia un pezzetto della nostra storia e lo intrappola nelle sue tele, inserendolo in uno spettacolo intitolato “Carlo Levi, un torinese del Sud”.
E' un paesaggio luminoso, incontaminato, verde e giallo quello che unisce i mondi di Levi e di Ulderico Pesce, innamorati dell'umiltà di questa nostra terra e dei suoi stessi abitanti. Ricordiamo bene infatti la gioia pura, lo stupore, l'ammirazione negli occhi da bambino di Frschett' , che accoglie in festa lo straniero e lo aiuta a trovare l'ispirazione per le sue opere. Quel uomo era proprio Carlo Levi, esiliato a Grassano, in seguito ad Aliano (Gagliano nel libro) .
Il primo luogo che Levi tocca é Grassano , qui viene accolto con il tipico “calore” del sud , dal giovane fanciullo Frschett' e dalla sua umile famiglia ,
L' incontro con Paola Olivetti da lui conosciuta precedentemente , lo proietta nel mondo dell'amore
molto lontano dalla tristezza dell'esilio in Lucania .
In seguito nel '43 a causa delle leggi razziali, Levi è costretto ad abbandonare la Olivetti e a trasferirsi a Firenze, dove nascosto con altri antifascisti conosce Linuccia, la figlia di Umberto Saba e con questa inizia a scrivere, accompagnati da un'inebriante passione, il “Cristo”.
Una realtà crudele e drammatica ma anche magnifica, quella della Matera negli anni '40, che affiora dalle parole della stupenda Maria Letizia Gorgia e dell'esperto Ulderico Pesce.
Attraverso la lettura di alcuni passi di “Cristo si è fermato a Eboli”, i due grandi attori ci trasmettono la drammaticità delle immagini raccontate da Levi nel suo capolavoro. Lo spettatore si immedesima e sente sulla sua pelle il calore del sole materano che attirava le mosche verso i corpi infermi dei bambini, che febbricitanti urlavano disperatamente: “Signorì, o chinin'!”.
Negli stessi anni al Nord, nonostante la presenza del Fascismo, si respirava aria di crescita e sviluppo economico. Invece, qui a Matera, un torinese scrittore e artista, dipingeva poeticamente intrappolando nelle sue tele immagini che divennero parte integrante della sua quotidianità.
Uno scenario sobrio con due seggiole in legno, dei treppiedi sparsi qua e là, tele dai magici colori e in particolare una che come in una favola prende vita durante l'opera, trasformandosi nella passionale Paola Olivetti. Le tele che girate cautamente una per volta, definiscono le scene e le realtà lucane e fanno nascere nello spettatore la voglia di scoprire ciò che è celato in esse.
L'atmosfera diventa più suggestiva grazie alle luci del mitico Vito (tecnico delle luci).
Questo spettacolo può essere racchiuso in un solo termine: humanitas (sentimenti umani), ovvero allude all'amore, non solo del proprio paese, ma anche alla conoscenza delle culture altrui.

- Col Bacco -

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